martedì 19 dicembre 2017

La strana estate di Baldo.





Baldo era di stanza a Brunico, Alto Adige, immerso nelle montagne e in una solitudine, onnivora; talmente onnivora che aveva letto tutti i libri di Celine nonché quelli di Pavese e avevo scoperto Fante. Inoltre, avevo posto un cappio nella sua stanza guardandolo ogni giorno: ma, poi, avevo deciso che la lettura fosse meglio.  Si era dato anche al volontariato, offriva gratis lezioni di italiano ai genitori indiani dei suoi alunni e loro ricambiavano, invitandolo a giocare a cricket e a basket. Baldo tra gli indiani sulle Alpi! Si domandava che c’entrasse con le Alpi e gli indiani, ma il 23 di ogni mese gli arrivava l’accredito della Provincia Autonoma di Bolzano, quanto bastava per non domandarsi più niente e andare avanti! 

Anche se in compagnia degli indiani, e facendo molti progressi più che nel cricket, nel basket, Baldo aspettava solo che le nevi si sciogliessero e che l’anno scolastico terminasse per scappare a casa. Una volta arrivato a casa, aveva un’esageratissima voglia di non fare nulla: il tempo scorreva tranquillamente, andava al mare con il suo amico Renato, ex compagno alle fabbriche Ixfin e attualmente cassaintegrato. Si andava a Calimera beach, tre euro e 50 il  lettino,  80 centesimi il caffè freddo, e si ascoltava musica reggae grazie al proprietario dello stabilimento balneare che aveva trascorso gli ultimi dieci anni della sua vita poco gloriosa in Giamaica, portando in eredità il nuovo reggae agli italiani. Insieme al placido Renato, Baldo conobbe due ragazze, una che si doveva sposare, dopo dieci anni di fidanzamento e non si era sposata, e poi un’altra signorina, aspirante attrice; circondato, assediato da vari esaurimenti nevrotici, Baldo si addormentava sulla battigia con il suono dolce della bonaccia della fine di giugno per dimenticare il contesto poco benevole.

Il 18 luglio la pace estiva terminò.

La madre di Baldo vide che il vicino di casa, salendo su una scala di legno, si accingeva a forare il cemento per preparare l’impalcatura di ferro, senza licenza; tanto da loro ognuno si sveglia e dice: “Oggi comando, io”. 

La madre riferì al padre dell’accaduto, e ben presto Baldo capì che in Sicilia ci sarebbe andato forse, sperando, il prossimo anno; in aggiunta durante l’estate non erano previsti né campionati del Mondo e né europei di calcio; i presagi non lo assicuravano sarebbe stata un’estate poco fausta.

I dirimpettai, essendo degli imprenditori edili, riuscirono in poche ore ad attrezzare il necessario per la realizzazione del balcone. Loro, il padre e il figlio, fuori a gigioneggiare mentre tre operai sudamericani di Montevideo a sudare sotto una calura estiva che alle 7.30 già rasentava i 33 gradi.

Il giorno seguente la madre lo svegliò verso le 7.00 e gli disse: “Affacciati un po’ fuori!” Baldo, affacciandosi, vide otto ruote bucate e quattro vetri frantumati; di notte avevano colpito: erano intenzionati a stordirli, e a ribadire se mai vi fosse bisogno che Baldo e i suoi genitori all’ interno del vico contavano quasi zero. Baldo, sognando e mangiando una polacca( dolce tipico aversano), magra consolazione estiva, chiamò Massimino, pittore tutto fare, che arrivò a casa con la sua Megane decappottabile. I vicini di casa, spiando da una piccola finestra, oltre a capire che per loro le cose non sarebbero andate per il meglio, ebbero anche il problema pratico che la signora Giacomina, con la testa modello Zoppas che si ritrovava, si incastrò nella finestrina, e la figlia, Mariona, accorsa, ebbe il suo da fare per liberare la madre.  I vicini erano in combutta con i vigili urbani, i quali, quando Baldo e Massimino si recarono al comando, non si fecero trovare. Al secondo tentativo i nostri eroi decisero di andare direttamente a casa del comandante e nel momento in cui il comandante vide Massimino, capì bene che doveva fare poco lo stronzo; infatti, si recò dai dirimpettai e fermò i lavori. 

In realtà, si trattò solo di una semplice tregua perché dalle parti di Baldo che per fortuna e/o per sfortuna sono diverse dal Sudtirolo, la gente è dura come il coccio; le provarono tutte per un balcone: architetti, dottori, sindaci finché non si arrivò alla camorra. Un giorno, i genitori di Baldo vennero chiamati dal capozona del paese; il quale, a detta dei suoi genitori, si dimostrò molto gentile. Il boss già aveva deciso che il balcone si dovesse fare tanto gli stupidoni dei vicini di Baldo gli avrebbero realizzato l’intonaco della nuova casa, gratis; per calcolare la coglionaggine di certi individui bisognerebbe inventare un cogliono-metro e così capireste di che cosa si parli . Sicuri dell’appoggio del capozona, incuranti delle regole, e del rispetto salirono di nuovo sull’impalcatura. 

Baldo, ormai stufo, si rivolse di nuovo a Massimino e così, conobbe lo zingaro e la sua banda. Lo zingaro apparteneva a una famiglia molto potente di Casale di Marmo, specializzata in recuperi crediti e non so se rendo bene l’idea con l'espressione recupero credito; questi erano il gruppo di fuoco del clan, venivano e  se non pagavi, a farti pagare ci pensavano loro e con i loro modi: se non saldavi era facile che andavi all’ospedale, anzi togliendo pure l’aggettivo facile, andavi all’ospedale e ci rimanevi anche per un bel po’. 

Andarono in una sera d’estate in cui si respirava male, e si sudava tantissimo, i condizionatori stessi erano in deficit di refrigerio. Il gitano fumava di continuo e parlava, sebbene non si capisse cosa dicesse; di tanto in tanto interveniva la moglie, che,  per sommi capi, traduceva. Lo zingaro era sulla trentina, ed era scuro di pelle come una panetta di hashish marocchino, Massimino che gli era abbastanza amico lo introdusse nella situazione e lui gli rispose: “Qual è il problema? Gli facciamo smontare tutto”.  Lo zingaro, rispettando i codici camorristici, era andato a parlare prima con il capozona, il quale aveva assicurato che l’impalcatura si sarebbe smontata perché i confinanti di Baldo avevano sbagliato e si erano comportati da maleducati. Passavano i giorni, ma nulla, l’impalcatura non si smontava, e noi ci innervosivamo ma neanche il gitano la prendeva bene, al di là di tutto, si vedeva preso in giro e ciò non gli andava proprio giù.  

Passammo molte giornate estive sul terrazzo dello zingaro, cercando di trovare una situazione al problema, e la calura estiva veniva abbattuta dalle limonate ghiacciate della moglie che erano uno spettacolo puro, unica consolazione con la polacca   dell’estate strana di Baldo. Lo zingaro arrivò alla conclusione: al padre che si crede un grande imprenditore, gli bruciamo il capannone, al figlio che si atteggia a mamma santissima, gli spariamo nelle gambe.

Oddio, Baldo avrebbe voluto che smontassero l’impalcatura e che non facessero il balcone ma spararli, era  troppo esagerato!

Si risolse con una rapina da 15 mila euro che fu realizzata proprio fuori dal capannone: i malviventi scesero dalla macchina e posizionarono contro il figlio una bella nove millimetri, e si fecero consegnare il malloppo, ossia le paghe degli operai. Il balcone non fu realizzato, anche se i dirimpettai non vollero smontare l’impalcatura. Vi diranno tante cose sul Sud, la giustizia, la speranza…. tutte delle gran vaccate!  Abbassi la testa solo quando vedi che l’altro ti può fare un sedere quanto un appartamento di 200 metri quadri. E sapete dov' è la fregatura? L’appartamento di 200 metri non lo puoi nemmeno affittare!


Aniceto Fiorillo

Nato a Cesa nel 1979, dopo la laurea in Lettere, viaggia per l’Italia e per l’Europa sia per piacere ma soprattutto alla ricerca di un qualsiasi lavoro che gli permetta di scrivere senza pensieri: a Brussel, incontra il Pilota e la sua comunità di brasiliani belgi, imparando l’inglese e il francese perché vuol sentirsi cittadino europeo ma il grigio del cielo belga lo rende triste e scappa verso il mare dell’isola di Malta. Qui si imbatte in una dozzina di russi che contrabbandano in diamanti e che decidono di scassarlo (picchiare una persona fino a ridurlo in fin di vita), e mentre tenta di sfuggire agli ex bolscevichi, incontra una bellissima sudtirolese che lo conduce a Bolzano dove si impegna nell’insegnamento e nel cercare di farsi una famiglia con relativa prole. Ma il Signore per lui ha in serbo altri piani! Ritorna a Napoli dove gestisce una libreria, naturalmente abusiva; finché, un giorno, di inverno, e di forte vento, non giunge la Finanza che gli intima di chiudere in blocco l’attività. Non si perde d’animo e con tanta voglia e molti denari sceglie la città di Roma come sua nuova sposa. Qui a Roma conosce la solitudine,il lavoro, l’amore, e poi, il vento lo riporta a Napoli centro. Ora è facile incontrarlo, di mattina, al Caffè del Duomo, prima che vada a scuola.



Autore di Kilometro zero 
https://www.amazon.it/Kilometro-Zero-Aniceto-Fiorillo-ebook/dp/B01N8XRSM9 

e dei suddetti Racconti disaccordati.








sabato 18 novembre 2017

Lungo le rive del Mincio.










Il cambio turno avveniva tra le 6.50 e le 7.00, quello sarebbe stato il momento opportuno, pensò lui. All’inizio Susanna non era d’accordo, diceva che sarebbero stati scoperti e Daniele per una settimana non le avrebbe fatto vedere la tv.
Valerio le rispondeva che quella mezza giornata di libertà avrebbe avuto un valore maggiore, avrebbero passeggiato lungo le rive del Mincio, sarebbe stata una mattinata romantica. Al suono di quel romantico Susanna si era convinta, aveva fatto cadere le sue ultime resistenze. Si erano promessi che si sarebbero incontrati l’indomani alle 6.55, in portineria non ci sarebbe stato nessuno.
Il cielo era splendente, e gli ultimi respiri di un’estate calda si erano riversati con dolcezza su quegli inizi di settembre; Valerio si era ben rasato, bagnandosi di Acqua di Colonia di Parma, un giovincello di settantacinque anni a cui ancora brillavano gli occhi alla vista di Susanna che, con un foulard azzurro in tinta con i suoi occhi color mare, si mostrava semplicemente divina. Invisibili ai tanti, si avviarono mano nella mano verso piazza San Calisto. Presero la linea 37 che li avrebbe lasciati sul lungo fiume. Arrivati su una gran terrazza, ordinarono due croissant alla crema e dei caffè macchiati. Intanto nella casa di riposo i responsabili stavano andando ai matti, Valerio e Susanna erano spariti.  Fu allertata la polizia, e per la città di Mantova si diede inizio alla caccia dei fuggiaschi. I due, circondati da canneti e cipressi, e incurati del mondo attorno, si avviavano per i lunghi ciottoli scuri, raccontandosi di viaggi che avrebbero fatto, e di nuovi posti che avrebbero amato. E Valerio disse che la loro prima meta sarebbe stata Milano, il luogo dove risiedeva l’unico figlio con la sua famiglia, avrebbe presentato Susanna ai suoi parenti più cari e Susanna appoggiò lentamente la sua testa sulle spalle larghe e robuste di Valerio, lei invece non aveva nessuno, solo Valerio.
Inaspettatamente, con il lento movimento di banchi di nuvole, spuntò la sagoma di Daniele che, faticosamente, si asciugava la fronte  zeppa di sudore, in compagnia di due gendarmi; il sole fu coperto, gli uccelli, atterriti, viaggiarono verso un limpido orizzonte e Susanna disse: “Ora ci puniranno”
“Non ti preoccupare, ci penso io - disse Valerio,  e poi aggiunse, accarezzandole il viso, -  siamo stati felici”  Susanna si rasserenò, e si avviarono verso Daniele.


Aniceto Fiorillo

Nato a Cesa nel 1979, dopo la laurea in Lettere, viaggia per l’Italia e per l’Europa sia per piacere ma soprattutto alla ricerca di un qualsiasi lavoro che gli permetta di scrivere senza pensieri: a Brussel, incontra il Pilota e la sua comunità di brasiliani belgi, imparando l’inglese e il francese perché vuol sentirsi cittadino europeo ma il grigio del cielo belga lo rende triste e scappa verso il mare dell’isola di Malta. Qui si imbatte in una dozzina di russi che contrabbandano in diamanti e che decidono di scassarlo (picchiare una persona fino a ridurlo in fin di vita), e mentre tenta di sfuggire agli ex bolscevichi, incontra una bellissima sudtirolese che lo conduce a Bolzano dove si impegna nell’insegnamento e nel cercare di farsi una famiglia con relativa prole. Ma il Signore per lui ha in serbo altri piani! Ritorna a Napoli dove gestisce una libreria, naturalmente abusiva; finché, un giorno, di inverno, e di forte vento, non giunge la Finanza che gli intima di chiudere in blocco l’attività. Non si perde d’animo e con tanta voglia e molti denari sceglie la città di Roma come sua nuova sposa. Qui a Roma conosce la solitudine,il lavoro, l’amore, e poi, il vento lo riporta a Napoli centro. Ora è facile incontrarlo, di mattina, al Caffè del Duomo, prima che vada a scuola.


Autore di Kilometro zero 
https://www.amazon.it/Kilometro-Zero-Aniceto-Fiorillo-ebook/dp/B01N8XRSM9

e dei suddetti Racconti disaccordati.




sabato 23 settembre 2017

La favola della signora Cloe



Anche quella mattina con buon passo si avviava verso la scuola dove aveva preso servizio come supplente. Calzava delle ballerine rosse, e indossava un abito floreale lungo. I primi di settembre si erano affacciati, ed era arrivata la giornata della presentazione ai genitori.
All’interno dell’aula magna gremita, le parole ritritate della dirigente scolastica sembravano pianti algerini;  Cloe aveva appoggiato la testa al pilone principale, ormai da tempo i suoi pensieri la stancavano, e sognò per pochi attimi di mondi pieni di colori finchè una voce forte l’ancorò, di nuovo, alla realtà.
“Ehi, Cloe tocca a te” le disse la prof. di musica, -  toccandole dolcemente il braccio, - devi presentarti ai genitori”.
Ritorno in sé, e anche lei con le solite parole ritritate si autopresentò.

Nel tragitto di ritorno, oltrepassando la passerella di legno azzurro che collega le due parti del paese, Cloe aveva preso a insultare il destino fino a quando non aveva sprecato tutto il suo fiato. Al destino la signora Cloe rimproverava la sua condizione di precaria e di donna sola, ma poi, si fermava, alzava lo sguardo verso il cielo e ringraziava il signore per essere in compagnia della sua dolce Melissa. Proprio quando aveva sprecato tutto il suo fiato, le arrivò una telefonata: era la scuola primaria frequentata da Melissa.
“Signora venga subito, Melissa non vuole tornare in classe, ha disegnato un libro azzurro, e poi lei che scrive su questo libro”.
Il libro azzurro era il libro magico, con il quale Melissa comunicava con il mondo, a ogni cosa erano associate delle immagini attraverso cui la bambina si interfacciava con gli altri.
Subito, si diresse a casa, prese con furia il libro azzurro, e in meno di tre minuti, toccando, lievemente, il manto stradale con le punte delle sue ballerine rosse, arrivò a scuola. La bambina non appena vide il libro azzurro, saltellò dalla felicità, emettendo suoni onomatopeici, simili a quelli dei bambini che ancora non sono padroni delle parole.
E Cloe andò via, di nuovo, nel tragitto verso casa riprese a insultare il destino fintantoché non venne toccata da un braccio amico, Daniele, il postino di Fregene, dove Cloe ormai da anni dimorava. Le consegnò una raccomandata, la signora firmò, e prese a leggere. Proveniva da Lecce. Era tempo che più nulla le arrivava da quel posto. I suoi cari erano passati a miglior vita, e suo fratello si trovava in Islanda a condurre esperimenti sulla fauna marina.
La lettera diceva che si sarebbe dovuta presentare alle 19.00 del 16.09. 2017 a Lecce presso lo studio del notaio De Tullio.

Decise di preparare una cioccolata, anche se il tempo ancora non permetteva, la situazione lo prevedeva.  Dal frigo giallo prese del latte scremato e una ciotola, di color arancione, ci mise il latte, il cacao, un po’ d’amido e mescolò. Accese il fuoco molto basso,  il buon odore prima si impadronì dell’abitazione, e in seconda battuta delle strade e dei bambini che ritornavano da scuola.
I bambini corsero e gridarono: “La signora Cloe sta preparando la cioccolata!”
Entrarono in casa, si sedettero sui sgabelli rossi, e appoggiarono le mani sul tavolo bianco. Mentre Cloe versava la cioccolata e poi, arrivò Melissa, e i bambini gridarono: c’è Melissa. Melissa riprese a saltellare e la signora Cloe a sorridere. Cloe si sedette sulla grande sedia a dondolo, e pian, pian, dondolò con i suoi pensieri.

Partì di mattino: erano ormai anni che la signora Cloe non tornava in Puglia. Aveva dimenticato il sapore del caffè in ghiaccio con latte di mandorla, l’azzurro del mare e il bianco splendente della pietra pugliese con cui erano realizzati i palazzi del centro storico, anche se erano altri i pensieri che si attorcigliavano nella mente della signora Cloe, mentre il treno viaggiava, accarezzando i binari.
Il sole ormai stava per abbassarsi, quando  Cloe entrò nello studio del notaio Di Tullio. Il notaio non era bello, nemmeno giovane, e a dirla tutta, anche un po’ ingobbito, avrebbe raggiunto a breve la veneranda età di ottanta anni. La sua voce debolissima diceva che Cloe aveva ricevuto un lascito di un milione di euro, più una villa nei pressi della città di Goteborg, in Svezia.
“È stato il signor Davide di Nuzzo, a lasciarle tali somme, lo conoscete?” disse il notaio.
Gli occhi della signora Cloe si rivolsero in alto e proiettarono sul soffitto la sua vita con Davide. Erano stati fidanzati ben quattro anni, e si erano amati tra il cielo azzurro, e i paesaggi arsi del Salento, finché la signora Cloe non era partita per studiare all'università di Roma. Si erano promessi di vedersi, sempre; ma le promesse possono essere spazzate anche dai venti caldi, e lo scirocco li allontanò per sempre.
Davide, per uccidere la delusione, si era recato in Svezia e aveva importato il pasticciotto leccese in tale terra, in breve aveva creato una grande fortuna. Purtroppo a tal fortuna negli affari non corrispose la stessa fortuna in amore, e il signore Di Nuzzo non si sposò mai. Morto in un incidente stradale, Davide aveva lasciato tutto alla signora Cloe.
“Allora, signora cosa fa?” - la voce del notaio aveva preso forza - “Sogna? Lo conosce?"
“Sì, certamente” disse Cloe.
“Il signore Davide ha posto delle condizioni, la prima dovete occuparvi di un cane, la seconda che per almeno per tre anni dovete vivere in Svezia, nell’ abitazione dove la bestiola è cresciuta. Eccola!”
Il notaio aprì lentamente la porta che si trovava dietro la sua scrivania, e il cucciolone avanzò con fragore. Si trattava di un esemplare da montagna dei Pirenei, di colore bianco.
“Come si chiama?” disse Cloe.
“Si chiama come lei, Cloe.”
Cloe firmò, e alcune lacrime bagnarono i fogli, e pensò che avrebbe preparto altre cioccolate in altri luoghi e altri bambini le avrebbero assaggiate e poi, avrebbero giocato con la sua Melissa.


Aniceto Fiorillo

Nato a Cesa nel 1979, dopo la laurea in Lettere, viaggia per l’Italia e per l’Europa sia per piacere ma soprattutto alla ricerca di un qualsiasi lavoro che gli permetta di scrivere senza pensieri: a Brussel, incontra il Pilota e la sua comunità di brasiliani belgi, imparando l’inglese e il francese perché vuol sentirsi cittadino europeo ma il grigio del cielo belga lo rende triste e scappa verso il mare dell’isola di Malta. Qui si imbatte in una dozzina di russi che contrabbandano in diamanti e che decidono di scassarlo (picchiare una persona fino a ridurlo in fin di vita), e mentre tenta di sfuggire agli ex bolscevichi, incontra una bellissima sudtirolese che lo conduce a Bolzano dove si impegna nell’insegnamento e nel cercare di farsi una famiglia con relativa prole. Ma il Signore per lui ha in serbo altri piani! Ritorna a Napoli dove gestisce una libreria, naturalmente abusiva; finché, un giorno, di inverno, e di forte vento, non giunge la Finanza che gli intima di chiudere in blocco l’attività. Non si perde d’animo e con tanta voglia e molti denari sceglie la città di Roma come sua nuova sposa. Qui a Roma conosce la solitudine,il lavoro, l’amore, e poi, il vento lo riporta a Napoli centro. Ora è facile incontrarlo, di mattina, al Caffè del Duomo, prima che vada a scuola.


Autore di Kilometro zero 
https://www.amazon.it/Kilometro-Zero-Aniceto-Fiorillo-ebook/dp/B01N8XRSM9
e dei suddetti Racconti disaccordati.


Cappuccino





Di anni Francesco ne aveva ventitré, quando lo conobbi; quando fu abbandonato appena quindici e ancora non era stato soprannominato Cappuccino, con il tempo avrebbe meritato questo appellativo.

Aveva terminato le scuole medie e si apprestava a cercare un lavoro, quando il padre consunto dal cancro morì; fu un colpo durissimo per il ragazzo ma anche con la morte nel cuore e con il pianto silenzioso dell’animo andò avanti, e nei suoi occhi incominciò a splendere la luce del dolore ma con gli stessi occhi cercò di trovare nuovi luoghi, dove poter andare.

La madre scappò di sera, in compagnia di un cielo stellato degli inizi di luglio, mentre Cappuccino osservava le stesse stelle, piangendo. Si dice che fosse scappata con un algerino, scappata con poca speranza alla ricerca di non so che cosa; non si vide più al paese, nemmeno Cappuccino ebbe più notizie. E Cappuccino incominciò a vagare, abbandonato e  solo.

Dormiva dove gli capitava, soldi non ne aveva, di lavoro non voleva saperne. Si diceva che dormisse al cimitero sulla tomba del padre, ricoperto dalle foglie cadenti di un novembre inoltrato; mangiava poco, mangiava ciò che le persone gli offrivano. E poi, fu sorpreso a rubare: mandato al carcere minorile,  incominciò un nuovo percorso con nuovi amici. Seguì dei corsi da barman e capii che, se voleva trovare fortuna, doveva impegnarsi e il ragazzo si impegnò.


Scontata la pena e compiuta la maggiore età,  scappò in Inghilterra, in cerca di nuova vita.


Aniceto Fiorillo



Autore di Kilometro zero
https://www.amazon.it/Kilometro-Zero-Aniceto-Fiorillo-ebook/dp/B01N8XRSM9
 e dei suddetti Racconti disaccordati.

Nato a Cesa nel 1979, dopo la laurea in Lettere, viaggia per l’Italia e per l’Europa sia per piacere ma soprattutto alla ricerca di un qualsiasi lavoro che gli permetta di scrivere senza pensieri: a Brussel, incontra il Pilota e la sua comunità di brasiliani belgi, imparando l’inglese e il francese perché vuol sentirsi cittadino europeo ma il grigio del cielo belga lo rende triste e scappa verso il mare dell’isola di Malta. Qui si imbatte in una dozzina di russi che contrabbandano in diamanti e che decidono di scassarlo (picchiare una persona fino a ridurlo in fin di vita), e mentre tenta di sfuggire agli ex bolscevichi, incontra una bellissima sudtirolese che lo conduce a Bolzano dove si impegna nell’insegnamento e nel cercare di farsi una famiglia con relativa prole. Ma il Signore per lui ha in serbo altri piani! Ritorna a Napoli dove gestisce una libreria, naturalmente abusiva; finché, un giorno, di inverno, e di forte vento, non giunge la Finanza che gli intima di chiudere in blocco l’attività. Non si perde d’animo e con tanta voglia e molti denari sceglie la città di Roma come sua nuova sposa. Qui a Roma conosce la solitudine,il lavoro, l’amore, e poi, il vento lo riporta a Napoli centro. Ora è facile incontrarlo, di mattina, al Caffè del Duomo, prima che vada a scuola.

giovedì 31 agosto 2017

Anne e Daniel.









Il vento si era alzato, e le onde spumose infrangevano i loro ultimi respiri contro le alte falesie del paese di Polperro, laddove il grigio uniforme del cielo copriva i passi del vecchio Daniel. La strada era leggermente in salita, e, ai lati, si alzavano le casette di mattone rosso con ampie fioriere. La primavera lentamente sbocciava in Cornovaglia, anche se, una finissima pioggerellina si era appena unita al cammino di Daniel.
Il giardino di casa era ben curato: c’erano camelie rosse, bianche magnolie e alzalee in vasi di terracotta, nel mezzo un tavolo di larice con due sedie. 
Daniel si diresse verso la sedia, posta sul lato destro, la moglie tra i fiori, li innaffiava.
“Ragazzo, ancora non vi è chiaro che mia madre non vuole che noi parliamo! Credevo di essere stata schietta, e sincera l’ultima volta! Mi dispiace, ma ora lei dovrà andar via, perché ho appuntamento con delle mie amiche, è l’ora del nostro thè bianco” disse la moglie, mentre, di schiena, continuava ad annaffiare i suoi fiori.
Daniel ascoltò in silenzio e con sorriso le parole della sua Annie.
Subito, dopo, la donna si girò con impeto verso Daniel.
“Lo so che per lei non è facile accettarlo. Ma prima lo capirà, è meglio sarà per entrambi!”
E poi la donna rivolse di nuovo lo sguardo verso i suoi fiori.
A un certo punto i vecchi occhi di Annie furono abbagliati da una forte luce dorata, la signora, con una mano, cercò di coprirsi mentre con l’altra prese l’oggetto ricoperto di terra: era un anello d’oro. La loro fede di matrimonio, andata perduta, ormai, anni or sono. Annie la prese, e si girò verso Daniel: “Questa è la nostra fede”.

A Daniel caddero delle piccole lacrime, e con una voce accorata disse: “Sì, Annie, è la nostra fede” intanto che la pioggia cadeva con maggior forza e il vento si abbassava.



Aniceto Fiorillo

Nato a Cesa nel 1979, dopo la laurea in Lettere, viaggia per l’Italia e per l’Europa sia per piacere ma soprattutto alla ricerca di un qualsiasi lavoro che gli permetta di scrivere senza pensieri: a Brussel, incontra il Pilota e la sua comunità di brasiliani belgi, imparando l’inglese e il francese perché vuol sentirsi cittadino europeo ma il grigio del cielo belga lo rende triste e scappa verso il mare dell’isola di Malta. Qui si imbatte in una dozzina di russi che contrabbandano in diamanti e che decidono di scassarlo (picchiare una persona fino a ridurlo in fin di vita), e mentre tenta di sfuggire agli ex bolscevichi, incontra una bellissima sudtirolese che lo conduce a Bolzano dove si impegna nell’insegnamento e nel cercare di farsi una famiglia con relativa prole. Ma il Signore per lui ha in serbo altri piani! Ritorna a Napoli dove gestisce una libreria, naturalmente abusiva; finché, un giorno, di inverno, e di forte vento, non giunge la Finanza che gli intima di chiudere in blocco l’attività. Non si perde d’animo e con tanta voglia e molti denari sceglie la città di Roma come sua nuova sposa. Qui a Roma conosce la solitudine,il lavoro, l’amore, e poi, il vento lo riporta a Napoli centro. Ora è facile incontrarlo, di mattina, al Caffè del Duomo, prima che vada a scuola.


Autore di Kilometro zero 
https://www.amazon.it/Kilometro-Zero-Aniceto-Fiorillo-ebook/dp/B01N8XRSM9

e dei suddetti Racconti disaccordati.




Kilometro zero presso il "Festival Leggendo ancora insieme" Oristano, Sardegna.

mercoledì 16 agosto 2017

Garbatella metrò.










L’arsura era alta, e il suono delle cicale costante come le lamentele della sora Maria che gestiva il BarGarb con l'aiuto di Lin Gin sulla circonvallazione Ostiense, a cinquanta metri e poi tutto a sinistra per metro Garbatella. Era una mattina di luglio, e il caldo traboccava anche dai condizionatori della Mitsubishi.
“Annarì, cosa? Ma si sapeva! Quello è un pezzo grosso della Fao, se la ingroppava da tempo!” disse l’uomo.
Era basso, indossava un bermuda grigio e una camicia a mezze maniche, di cotone scadente, e avrebbe toccato a breve il sessantaseiesimo anno di età.
“Come dici? Angioletto? Lassamo perde’.  Mi ha svegliato alle 6.00, già non avevo dormito per il caldo e sai che me voleva di’? Che aveva superato il livello 3 di Assassin Creed, un gioco alla play station!”
Parlava al telefono, con voce rotta dalle rotture della vita quotidiana, seduto fuori dal Bar della sora Maria mentre sulla circonvallazione il traffico procedeva in maniera regolare.
“Quello me sta a ammazzà , nun je la faccio più.  So’ diventato suo prigioniero! Tu te ne sei andata in montagna! E te sei liberata!”
Frattanto il suo cappellino di paglia si abbassava sul viso smunto e mal rasato, coprendogli la fronte, ma non l’occhio sinistro che pesantemente tendeva allo strabismo.
“’Sti  quattro giorni che me rimangono, li vojo vive’ come Dio comanna, in pratica, Annarì, senza rotture di cazzo. A settembre, con questo dobbiamo fa’ qualcosa! Eccolo, sta a arriva’. Ti lascio, nun me vojo fa vede’ (vedere)!”
E repentinamente nascose il telefono nella tasca destra del suo bermuda.

Angioletto era un ragazzo alto come un palo della luce e largo come una porta di calcio, aveva 17 anni, ma ne dimostrava almeno 25. Vestiva un completo dei Golden State Warriors, e portava a tracolla un marsupio nero della Zeven. Si sedette, avvolto da un sudore pregnante.
“A papà, che te sei magnato?” disse l’Angioletto.
“Un cornetto e un succo.”
“‘Mo chiamo er cinese e je dico de portamme du’ maritozzi (dolce romano), con cioccolata bianca e nera. Un succo de frutta e un cappuccino.”
“Ammazza… Me cojoni… nun te li fa’ porta’, Angiole".
“A papà, c’ho ‘na fame”.
C’erano tre tavolini e nove sedie, e Lin Gin, cinese della città di Shengen, girava per i tavoli, arrecando un servizio cortese e preciso agli avventori, mentre la sora Maria serviva al bancone.
“Ahó, Gin tonic! Vieni qua e portame un po’ de cose!”
“Ti avere detto che mio nome non è Gin Tonic, è Lin Gin” con un accento in cui tutte le “r” si trasformavano in l
“Ahó, sempre du’ maritozzi me devi portà ! Con un succo, e un cappuccino, con molto cacao” e nel momento in cui lo diceva, improvvisava, da seduto, un balletto rap.
E Lin Gin si allontanava, borbottando qualcosa nella sua lingua nativa.
“A papà, hai visto mamma se ne è annata in montagna! Quella c’ha lasciato, te lo dice l’Angioletto”.
“Doveva annà  dalla sorella!” disse il padre.
 “A papà, se ne dovemo annà (andare) ad Anzio. Quattro giorni, pensione completa cucina mediterranea, il cuoco è di Sorrento”.
Il padre lo ascoltava in silenzio, muovendo in continuazione l’occhio sinistro che tendeva sempre di più allo strabismo acuto.
“A papà, se magna  che è ‘na  favola! …me devi solo da’ ‘a carta de credito!”
All’improvviso sulla circonvallazione, proprio adiacente al bar, si arrestò un Suv nero, da cui uscirono due tipi. Alti, calvi, e parecchio incazzati.
“Ti chiami Angioletto” gli disse il più alto, mentre il basso stava leggermente indietro e in silenzio.
Con un sì convinto gli rispose Angioletto.
“Bravo” gli rispose il tipo e gli diede un destro a mano aperta.
E il botto fece girare, di scatto, i cinque vecchietti che erano seduti fuori dal bar, mentre parlavano di Naiggolan e del suo nuovo contratto. E il viso di Angioletto ruotò, in senso orario, di 180 gradi.
“E mo’, vieni con noi” disse il tipo.
“E perché?”
“Perché, sei uno stronzo.”
E con la mano destra, sempre aperta, gli fece saltare l’altra gota, quella sinistra.
“E questo chi è?”
“È mi’ padre”.
“Viene anche lui”.

Erano in uno stanzino, seminterrato, di quaranta metri quadri, e da una piccola finestrina entrava un filo di luce, molto fioco. Si ascoltava Julio Iglesias, “Baillando.”
“E allora, voi parla’? (parlare)”
Il volto di Angioletto era tumefatto
“Ma che te devo dì?” disse Angioletto.
“Io ‘sta Arianna nun la conosco. Nun l’ho mai vista!”
Il più alto aveva preso in cura Angioletto, mentre il più basso, a buon ritmo, e con grande perizia, ballava, e cantava il pezzo di Iglesias, dopo aver preparato un buon caffè.
“Come nun la conosci, che la facevi batte’ alle Terme di Caracalla! E lo sai chi è Arianna? È la figlia der Ghepardo, e Ghepardo è parecchio incazzato, e dice che ‘sta (questa) situazione si deve risolve’  solo cor sangue. E cor sangue tuo!”
“A papà, li vedi questi?”
“Angioletto, tieni duro” gli rispose il padre.
“Brutto sacco de merda” gli disse il tipo, e nel mentre gli mollava un dritto sul viso, nello stesso tempo, lentamente, la sedia si ribaltava e l’Angioletto, con un movimento strano delle natiche, sfondava il pantalone, e si schiantava con il viso a terra e con le chiappe, senza mutande, proprio di fronte il volto del suo persecutore.
“Che schifo!” gridò il suo aguzzino.
“Me so’ proprio scocciato, prendiamo ‘na tenaglia,  gli tolgo le unghie del piede, una a una.”
“No ‘a tenaglia, no!” gridava l’Angioletto.
E mentre si allontanava per prendere la tenaglia, gli diceva: “E quanto ci guadagnavi?”
“Ma che stai a dì?” rispose l’Angioletto.
“Ma come che sto a dì, ti vantavi anche di avere le mignotte più fresche di Roma sud! E mo’ che fai, te rinneghi tutto? Ma che omo(uomo) sei?”
“Ma quali mignotte, nun l’ho mai viste”.
Il padre sorseggiava un caffe, e di tanto in tanto diceva: “Ah regà, non fategli troppo male” e Despacito copriva le urla e i pianti di Angioletto.
Si sentì lo squillo del cellulare, il ballerino abbassò il volume dell’impianto stereo, e rispose.
“L’avete preso? E ‘sti due? Nun so’ loro? Ho capito...”
“Abbiamo sbagliato. Somigliava al panzone. Ma nun so’ loro.”
“L’ho sempre pensato, anvedi che viso da coglione si ritrova  Angioletto” disse il suo aguzzino.
“Adesso se ne dovemo anna’, perché er Ghepardo dice che ce dobbiamo vede’ tra un quarto d’ora a Laurentina - disse il ballerino - e questi li lasciamo qua?”
“Tanto mica parlano! Ahó, le vedete ‘ste facce? Be, mo’ ve le dovete dimentica’. È chiaro?” disse l’aguzzino.
“E chi v’ha visto mai” rispose il padre dell’Angioletto.





Dopo tre giorni e con qualche centinaio di lividi mancanti, l’Angioletto e il padre accompagnati da due trolley di color bianco si dirigevano verso metro Garbatella per prendere il treno in direzione Anzio.
Arrivarono a Marechiaro verso le 12. Il sole era alto e picchiava forte. I due si avviarono per la discesa che era coperta dall’ombra dei giganteschi pini marini.
Ormai, erano trascorse ore e la canicola diventava sempre più asfissiante.
“A papà, vieni che lo troviamo!”
“Angiolè, ma che voi trova’! Stamo a gira’ da tre ore!”
Erano seduti su un masso di cemento, e di fronte avevano il mare di Anzio, avvolto dalla bonaccia di fine Luglio.
“Te sei fatto frega, nun ce sta nessuna cucina mediterranea... A via dei Gerani 345 c’è soltanto ‘na mignotta nera, e un tipo che se la vuole ingroppa.Sto Hotel Mediterraneo, nemmeno l’ombra” e dopo aver detto ciò, si alzò e si diresse verso la stazione ferroviaria.
“Angiole’, sei proprio ‘na’marezza! Vedi ‘n’attimo a che ora passa il prossimo treno pe’ Roma.”
Anche l’Angioletto si alzò e si mise sulla scia del padre.
“E se facciamo in tempo, ce magnamo ‘na carbonara dar Sor Remo” - disse il padre - “almeno sarvamo quarcosa.”
I due si avviarono  e nel frattempo Angioletto continuava a farfugliare  altre  vaccate.


Aniceto Fiorillo

Nato a Cesa nel 1979, dopo la laurea in Lettere, viaggia per l’Italia e per l’Europa sia per piacere ma soprattutto alla ricerca di un qualsiasi lavoro che gli permetta di scrivere senza pensieri: a Brussel, incontra il Pilota e la sua comunità di brasiliani belgi, imparando l’inglese e il francese perché vuol sentirsi cittadino europeo ma il grigio del cielo belga lo rende triste e scappa verso il mare dell’isola di Malta. Qui si imbatte in una dozzina di russi che contrabbandano in diamanti e che decidono di scassarlo (picchiare una persona fino a ridurlo in fin di vita), e mentre tenta di sfuggire agli ex bolscevichi, incontra una bellissima sudtirolese che lo conduce a Bolzano dove si impegna nell’insegnamento e nel cercare di farsi una famiglia con relativa prole. Ma il Signore per lui ha in serbo altri piani! Ritorna a Napoli dove gestisce una libreria, naturalmente abusiva; finché, un giorno, di inverno, e di forte vento, non giunge la Finanza che gli intima di chiudere in blocco l’attività. Non si perde d’animo e con tanta voglia e molti denari sceglie la città di Roma come sua nuova sposa. Qui a Roma conosce la solitudine,il lavoro, l’amore, e poi, il vento lo riporta a Napoli centro. Ora è facile incontrarlo, di mattina, al Caffè del Duomo, prima che vada a scuola.




Autore di Kilometro zero
https://www.amazon.it/Kilometro-Zero-Aniceto-Fiorillo-ebook/dp/B01N8XRSM9
 e dei suddetti Racconti disaccordati.







giovedì 3 agosto 2017

Amore reciproco.






Vivevano in un piccolo appartamento in periferia; vivevano da soli, lui e la madre, gli altri fratelli si erano sposati e soltanto di rado venivano a trovarli, con il tempo il di rado si trasformò in mai. La mamma aveva sessantotto anni, da poco aveva subito un trapianto e portava sulle spalle anche altri fardelli dovuti al percorso della vita. Gianluca e io eravamo amici di infanzia, uniti da eventi e da ricordi; anche se, poi, le strade si allontanano, vi saranno sempre dei momenti duranti i quali penserai che Gianluca è il tuo migliore amico, perché è così. Quando tornavo giù al paese e lo rivedevo, mi veniva da piangere, con il tempo andava peggiorando e quasi non ti riconosceva. Quando gli allungavi la mano per stringere la sua, di mano, indietreggiava per paura che gli potessi fare qualcosa. Aveva un gran pancione, accenni di capelli bianchi ai lati, uno sguardo che cadeva nel vuoto e accendeva sigarette in continuazione. Era andato sotto e non si era ripreso più, aveva incominciato con le canne e poi era passato all’eroina, la fumava e in seguito i psicofarmaci lo avrebbero condotto allo stato attuale. A volte mi soffermavo a guardalo da lontano quando usciva con la madre e ritornavano a casa con le buste della spesa, le portava sempre lui non voleva che la mamma si affaticasse e in quei momenti in cui passeggiava si riaccendeva quella luce negli occhi che mi diceva:  il mio  amico ancora non era morto. 
Era gelosissimo della mamma, talvolta, si frapponeva tra le persone e la madre come se fosse il suo scudo; era l’unica persona che gli era rimasta, era da capirlo. La aiutava nelle commissioni, nei servizi a casa: il ragazzo rassettava, puliva, mentre la madre riposava per la stanchezza e poi, quando la mamma cucinava, lui si lamentava perché il sale non era giusto e la madre gli diceva che il sale faceva male. Vivevano in perfetta simbiosi, in un bisogno continuo l’uno dell’altro. Andavano spesso in ospedale, non avendo la macchina, utilizzavano i mezzi pubblici; quaranta minuti all' andata e altri quaranta al ritorno, e poi le file interminabili per entrare, e il nervosismo crescente di Gianluca, incominciava a capire che, forse, per la madre non vi erano più speranze. E una mattina la mamma non aprì più gli occhi, li chiuse per sempre e lui si trovò solo con la sua pazzia. Abbracciò la madre e la strinse come non aveva mai fatto con nessuno. Li trovarono dopo una settimana, entrambi morti, abbracciati come solo madre e figlio possono essere abbracciati.



Aniceto Fiorillo

Nato a Cesa nel 1979, dopo la laurea in Lettere, viaggia per l’Italia e per l’Europa sia per piacere ma soprattutto alla ricerca di un qualsiasi lavoro che gli permetta di scrivere senza pensieri: a Brussel, incontra il Pilota e la sua comunità di brasiliani belgi, imparando l’inglese e il francese perché vuol sentirsi cittadino europeo ma il grigio del cielo belga lo rende triste e scappa verso il mare dell’isola di Malta. Qui si imbatte in una dozzina di russi che contrabbandano in diamanti e che decidono di scassarlo (picchiare una persona fino a ridurlo in fin di vita), e mentre tenta di sfuggire agli ex bolscevichi, incontra una bellissima sudtirolese che lo conduce a Bolzano dove si impegna nell’insegnamento e nel cercare di farsi una famiglia con relativa prole. Ma il Signore per lui ha in serbo altri piani! Ritorna a Napoli dove gestisce una libreria, naturalmente abusiva; finché, un giorno, di inverno, e di forte vento, non giunge la Finanza che gli intima di chiudere in blocco l’attività. Non si perde d’animo e con tanta voglia e molti denari sceglie la città di Roma come sua nuova sposa. Qui a Roma conosce la solitudine,il lavoro, l’amore, e poi, il vento lo riporta a Napoli centro. Ora è facile incontrarlo, di mattina, al Caffè del Duomo, prima che vada a scuola.


Autore di Kilometro zero 

https://www.amazon.it/Kilometro-Zero-Aniceto-Fiorillo-ebook/dp/B01N8XRSM9

e dei suddetti Racconti disaccordati.



giovedì 20 luglio 2017

Italia vs Albania.










“Che goal stupendo! Il mio Brasile!” E poi si mise a ballare la samba il buon Pedrinho, almeno penso. Ciò era quello che vidi, quando entrai in classe e appoggiai il mio zaino sulla cattedra. “La Germania vi rompe il culo” disse Kus rivolgendosi a Pedrinho. C’erano molti assenti, appena dodici i ragazzi in aula. Ed erano disposti a ferro di cavallo, le finestre  spalancate, e sulla classe batteva un sole forte, ed entrava l’aria calda di fine maggio che incominciava a soffocarci. Ai lati opposti si trovavano i due ragazzi: Kus, composto e seduto nei banchi, mentre Pedrinho all’impiedi. Al centro tre ragazze impegnate a incipriarsi e curarsi le mani. Gli altri in maniera anonima abitavano lo spazio.
“Ma che parli? Ma quale Germania? Noi siamo il Brasile e poi tu non sei albanese? Che hai cambiato nazionalità?” disse Pedrinho. Kus si sedette al suo posto, in silenzio, l’Albania nemmeno si era qualificata al mondiale. 
Pedrinho aveva centrato l’obiettivo,  era il 2014 e il mondiale si sarebbe svolto in Brasile.

Noi eravamo giunti alle ultime battute dell’anno scolastico, e delle tre prime che avevo quell’anno, la I A, più delle altre due classi poteva definirsi una classe multiculturale. Eravamo in una scuola alberghiera: brasiliani, rom, albanesi, indiani, e marocchini, a cui cercavo di "imparare" l’italiano. 

Avevo assistito alla discussione senza proferire parola, anche a me piaceva il calcio e i miei allievi lo sapevano bene.
 “Chiediamo al professore, chi vincerà il mondiale!” disse Pedrinho.
“Ragazzi, ma che chiediamo! Qua manca meno di una settimana, e devo ancora interrogare una dozzina di voi!”
“Prof., solo una domanda” disse Kus.
“Prof., chi vede bene per il mondiale?” disse Pedrinho.
“Vedo bene l’Italia, con Balotelli davanti: non ce n’è per nessuno!”
“Sì professore, abbiamo una bella squadra, li battiamo gli spocchiosi dei brasiliani!” facendo il verso a Pedrinho.  E poi si alzò e si diresse verso la mia cattedra. Aveva ripreso forza, Kus.
“Ma che ora sei diventato anche italiano?” chiese Pedrinho.
“Io sono albanese, ma sono cresciuto in Italia, e faccio il tifo per l’Italia! Che hai qualche problema?”
“Io nessuno, tanto Germania e Italia, per noi non fa nessuna differenza. Noi siamo il Brasile! In quel momento mi rivolsi verso Kus, e gli dissi: “Mettiamo caso che nel 2018, al mondiale, vi sia ai quarti di finale Italia vs Albania, tu per chi tiferai?”
Lui, senza pensarci due secondi, mi disse: “Albania.” 
Mentre si allontanava da me, mi disse sottovoce: “ Un poco ma solo un poco, tiferei anche per l’Italia” e poi sorrise. 
E noi iniziammo la lezione.


Aniceto Fiorillo

Nato a Cesa nel 1979, dopo la laurea in Lettere, viaggia per l’Italia e per l’Europa sia per piacere ma soprattutto alla ricerca di un qualsiasi lavoro che gli permetta di scrivere senza pensieri: a Brussel, incontra il Pilota e la sua comunità di brasiliani belgi, imparando l’inglese e il francese perché vuol sentirsi cittadino europeo ma il grigio del cielo belga lo rende triste e scappa verso il mare dell’isola di Malta. Qui si imbatte in una dozzina di russi che contrabbandano in diamanti e che decidono di scassarlo (picchiare una persona fino a ridurlo in fin di vita), e mentre tenta di sfuggire agli ex bolscevichi, incontra una bellissima sudtirolese che lo conduce a Bolzano dove si impegna nell’insegnamento e nel cercare di farsi una famiglia con relativa prole. Ma il Signore per lui ha in serbo altri piani! Ritorna a Napoli dove gestisce una libreria, naturalmente abusiva; finché, un giorno, di inverno, e di forte vento, non giunge la Finanza che gli intima di chiudere in blocco l’attività. Non si perde d’animo e con tanta voglia e molti denari sceglie la città di Roma come sua nuova sposa. Qui a Roma conosce la solitudine,il lavoro, l’amore, e poi, il vento lo riporta a Napoli centro. Ora è facile incontrarlo, di mattina, al Caffè del Duomo, prima che vada a scuola.


Autore di Kilometro zero 
https://www.amazon.it/Kilometro-Zero-Aniceto-Fiorillo-ebook/dp/B01N8XRSM9

e dei suddetti Racconti disaccordati.






- La signora Nunzia racconta il Signore Antimo -

  Era il 1990 e si svolgevano i mondiali di calcio in Italia, e io ero innamorato degli azzurri. In quel periodo dormivo a casa di mia nonna...

Italia vs Albania