giovedì 20 luglio 2017

Italia vs Albania.










“Che goal stupendo! Il mio Brasile!” E poi si mise a ballare la samba il buon Pedrinho, almeno penso. Ciò era quello che vidi, quando entrai in classe e appoggiai il mio zaino sulla cattedra. “La Germania vi rompe il culo” disse Kus rivolgendosi a Pedrinho. C’erano molti assenti, appena dodici i ragazzi in aula. Ed erano disposti a ferro di cavallo, le finestre  spalancate, e sulla classe batteva un sole forte, ed entrava l’aria calda di fine maggio che incominciava a soffocarci. Ai lati opposti si trovavano i due ragazzi: Kus, composto e seduto nei banchi, mentre Pedrinho all’impiedi. Al centro tre ragazze impegnate a incipriarsi e curarsi le mani. Gli altri in maniera anonima abitavano lo spazio.
“Ma che parli? Ma quale Germania? Noi siamo il Brasile e poi tu non sei albanese? Che hai cambiato nazionalità?” disse Pedrinho. Kus si sedette al suo posto, in silenzio, l’Albania nemmeno si era qualificata al mondiale. 
Pedrinho aveva centrato l’obiettivo,  era il 2014 e il mondiale si sarebbe svolto in Brasile.

Noi eravamo giunti alle ultime battute dell’anno scolastico, e delle tre prime che avevo quell’anno, la I A, più delle altre due classi poteva definirsi una classe multiculturale. Eravamo in una scuola alberghiera: brasiliani, rom, albanesi, indiani, e marocchini, a cui cercavo di "imparare" l’italiano. 

Avevo assistito alla discussione senza proferire parola, anche a me piaceva il calcio e i miei allievi lo sapevano bene.
 “Chiediamo al professore, chi vincerà il mondiale!” disse Pedrinho.
“Ragazzi, ma che chiediamo! Qua manca meno di una settimana, e devo ancora interrogare una dozzina di voi!”
“Prof., solo una domanda” disse Kus.
“Prof., chi vede bene per il mondiale?” disse Pedrinho.
“Vedo bene l’Italia, con Balotelli davanti: non ce n’è per nessuno!”
“Sì professore, abbiamo una bella squadra, li battiamo gli spocchiosi dei brasiliani!” facendo il verso a Pedrinho.  E poi si alzò e si diresse verso la mia cattedra. Aveva ripreso forza, Kus.
“Ma che ora sei diventato anche italiano?” chiese Pedrinho.
“Io sono albanese, ma sono cresciuto in Italia, e faccio il tifo per l’Italia! Che hai qualche problema?”
“Io nessuno, tanto Germania e Italia, per noi non fa nessuna differenza. Noi siamo il Brasile! In quel momento mi rivolsi verso Kus, e gli dissi: “Mettiamo caso che nel 2018, al mondiale, vi sia ai quarti di finale Italia vs Albania, tu per chi tiferai?”
Lui, senza pensarci due secondi, mi disse: “Albania.” 
Mentre si allontanava da me, mi disse sottovoce: “ Un poco ma solo un poco, tiferei anche per l’Italia” e poi sorrise. 
E noi iniziammo la lezione.


Aniceto Fiorillo

Nato a Cesa nel 1979, dopo la laurea in Lettere, viaggia per l’Italia e per l’Europa sia per piacere ma soprattutto alla ricerca di un qualsiasi lavoro che gli permetta di scrivere senza pensieri: a Brussel, incontra il Pilota e la sua comunità di brasiliani belgi, imparando l’inglese e il francese perché vuol sentirsi cittadino europeo ma il grigio del cielo belga lo rende triste e scappa verso il mare dell’isola di Malta. Qui si imbatte in una dozzina di russi che contrabbandano in diamanti e che decidono di scassarlo (picchiare una persona fino a ridurlo in fin di vita), e mentre tenta di sfuggire agli ex bolscevichi, incontra una bellissima sudtirolese che lo conduce a Bolzano dove si impegna nell’insegnamento e nel cercare di farsi una famiglia con relativa prole. Ma il Signore per lui ha in serbo altri piani! Ritorna a Napoli dove gestisce una libreria, naturalmente abusiva; finché, un giorno, di inverno, e di forte vento, non giunge la Finanza che gli intima di chiudere in blocco l’attività. Non si perde d’animo e con tanta voglia e molti denari sceglie la città di Roma come sua nuova sposa. Qui a Roma conosce la solitudine,il lavoro, l’amore, e poi, il vento lo riporta a Napoli centro. Ora è facile incontrarlo, di mattina, al Caffè del Duomo, prima che vada a scuola.


Autore di Kilometro zero 
https://www.amazon.it/Kilometro-Zero-Aniceto-Fiorillo-ebook/dp/B01N8XRSM9

e dei suddetti Racconti disaccordati.






martedì 11 luglio 2017

“Papà, sei il mio eroe!”









Il vento sferzava i pini marini che, da ambo i lati, accompagnavano via Maia, la lunga salita che, dalla scuola media, ti conduceva alla ferrovia del paese; lo scalpiccio dei passi di Marco era costante, appena uscito dalla scuola il ragazzino si dirigeva in stazione. Era il primo pomeriggio di un febbraio, e il suono della risacca giungeva fino alla parte alta del paese. L’estate era soltanto un ricordo latente che si perdeva tra gli ombrelloni dei bar, colpiti dalle folate di venti gelidi. Il piccolino aveva una andatura veloce ma sghemba, la cartella era semi aperta, e dalla maglietta fuoriusciva una piccola canottiera bianca. 
"Ehi Marco, dove vai?" gli disse il marmocchio.
"Vado in stazione, arriva mio padre da Roma. Andiamo a Napoli a vedere la Città della Scienza - portava degli occhiali da vista non spessi,  - così, farò una grande ricerca  e la professoressa finirà di mettermi i suoi quattro".

Il marmocchio era Mouthaib. Un piccolo marocchino dalla carnagione olivastra che frequentava la classe seconda della scuola media insieme a Marco. Aveva tra le mani una coca-cola cherry e dai vetri del bar di Lorena aveva intravisto la sagoma del suo amico di scuola ed era uscito.
" Mi raccomando fai delle foto, che poi le vediamo a scuola" 
"D’accordo" rispose Marco. 
"Ehi ragazzino, la chiudi questa porta! Che fa un freddo boia! - gli urlò Lorena che poi  si rivolse al padre - ehi  invece di bere, gli dici qualcosa a tuo figlio! Gli dici di chiudere la porta!"
Lorena era la proprietaria del bar, una donna minuta, dai capelli rossicci e dallo sguardo spiritato.
"Mathouibi, vieni qua. Che adesso andiamo" disse il padre.
Il padre di Mathouibi era seduto al tavolo con altri amici,  fumando  Lucky strike .
"Ok, adesso devo andare via. Ci vediamo lunedì" disse Mathouibi.
"A lunedì" disse Marco.

La salita era quasi terminata e la voce poco stentorea dell’altoparlante della ferrovia annunciava che a breve sarebbe arrivato il treno da Roma. Dopo aver ascoltato l’annuncio, preso da un gioia sovrumana Marco corse di getto e si alzò verso il cielo plumbeo, urlando: "Arriva papà!"
Il padre di Marco non era alto, e nemmeno bello e viaggiava verso il trentacinquesimo anno di età. Quando scese dal treno indossava un giubbotto di pelle, jeans stretti e portava al collo un massiccio collier d’argento. Si abbracciarono e poi il padre gli disse: "Ecco il mio uomo". 
"Sei andato dai nonni?" disse il padre, accendendosi una sigaretta.
"Papà, mi hanno detto che non ti vogliono vedere. Mi hanno dato le chiavi della macchina, solo perchè dobbiamo andare alla Città della Scienza - mentre parlava gli occhiali gli cadevano dal piccolo naso all’insù e si appoggiavano sui suoi lineamenti gentili -  sennò con il piffero che te le avrebbero date".
"Pezzenti! - fumava in maniera nervosa -  che andassero a fanculo!  E  la macchina?" 
"L’hanno parcheggiata fuori dal lido Tritone. Nonno, ha fatto anche il pieno" disse Marco e nel frattempo con la mano destra si alzava gli occhiali  scivolati giù.
"Come stanno?"
"Bene,  spesso  andiamo con nonno allo Scoglione, portiamo Marc a passeggiare e poi giochiamo sulla spiaggia a calcio. La nonna ci aspetta a casa e  a volte prepara la pastiera. Papà, una delizia!"
"Lo so. Chi è Marc?"
"Il nuovo cane del nonno".
"L’ho sempre detto che quel vecchio vuole bene più agli animali che alle persone - buttò a terra il mozzicone di sigaretta.  
Arrivarono al bar di Lorena,  si sedettero mentre una fiumana di fumo li inondava.
"Cazzo, ti ho detto che  quando vai in bagno, la devi smettere di pisciare a terra.  Fanculo ad Algeri!" disse Lorena, rivolgendosi all’algerino che era appena uscito dal bagno.
"Sempre nervosa" disse l’algerino.
La voce di Lorena era stridula e fastidiosa. Il suo bar non era grande, misurava una ventina di metri quadri dove convivevano macchinette elettroniche da poker con tavoli rossi di plastica.
"Ehi ciao Gianni! Hai fatto bene - era bella agitata e parlva senza pause,  ad andare via da questo posto di merda. Almeno nella capitale ti divertirei.  Due cioccolate calde?"
"Grazie!"

Il padre di Marco, Gianni, dopo il matrimonio fallito, aveva lasciato il paese per Roma, sia per non vedere più la sua ex moglie che per costruirsi una nuova vita. Aveva preso in gestione un locale notturno ma la polizia glielo aveva chiuso per favoreggiamento alla prostituzione.  
"E tua madre che dice?" disse il padre rivolgendosi al ragazzino.
"Adesso sta con un dottore, uno stronzo. L’altra volta gli ho bucato le ruote. Papà, voglio stare con te".
"E perchè gli hai bucato le ruote?"
"Aveva detto che eri uno sfigato. Perché non hai un lavoro, e non passi i soldi a mamma".
Si erano seduti al tavolo che traballava fastidiosamente e Lorena gli aveva portato  le due cioccolate calde. 
"Tutte balle. Hai fatto bene a bucargli le ruote" .
"Papà, lo so".
Il padre con lentezza aveva incominciato ad assaporare la cioccolata. 
"Alla città della Scienza hanno aperto una nuova sezione che si chiama corporea. E lo sai che fanno?" disse il padre.
"No" .
"Un viaggio virtuale nel corpo umano, e così la prof. di Scienze la mandiamo a cacare!" 
"Sì, papà, quella è un’altra che sa tutto lei".
Uscirono dal bar e nel contempo incominciò a piovigginare.
"Che ne diresti di fare una bella corsa fino alla macchina? Vediamo chi arriva prima!" disse il padre verso il piccolo.
"Papà,  ci sto!"

La strada era completamente in discesa, ai lati le case disabitate dei villeggianti mentre sull’orizzonte lontano si stagliava il color blu-scuro di un mare in profondo subbuglio.
Gianni aveva preso un leggero vantaggio,  il bambino indietro, dalla cartella semi aperta fuoriuscì un libro che cadde a terra. Marco se ne accorse.
Ed esclamò: "Adesso chi la sente mamma!"
Si fermò, indietreggiò, e lo prese. Poi ripartì ma ormai il padre era giunto.  Gianni lo aspettava alla macchina e  quando Marco arrivò,  si tuffò tra le sue braccia.
" Il mio campione!" disse il padre.
La macchina era una Punto, bianca. Anno 2008. Non messa male. Accese il motore e partirono.
"Ehi, allora stai vedendo le partite?"
 "Certo papà, stiamo andando alla grande".
Imboccarono la provinciale che li avrebbe condotti a scalo di Lavinio, la pioggia si era fatta più insistente  e si erano create delle pozzanghere dovute sia all’acqua piovana che alle numerose buche del manto stradale dissestato.
"Il mio giocatore preferito è diventato Salah!"
"Ma non era Totti, prima?"
" Totti è diventato vecchio, e non gioca quasi mai, invece, l’egiziano è una scheggia! "
"Si, ho capito. Ma allora sei un traditore?"
"No, perché?"
"Semplice, se  Totti è il tuo giocatore preferito, allora lo deve essere per sempre. Non lo devi  scaricare! Farai così anche con me? Mi tradisci con un nuovo papà? Pensa al dottore, al nuovo compagno di tua madre: fra un paio d’anni  mi dici, papà, questo è il mio nuovo papà. Non va bene mica".
Marco non rispose, ascoltò in silenzio.
Arrivarono nei pressi di un grande supermercato: parcheggiarono l’auto nell’affollato spazio mentre il padre si apprestava a uscire dall’abitacolo.
"Papà,  sei il mio eroe" disse il ragazzino.
"Sì, lo so".
Erano le quattro del pomeriggio. Non era grande il supermercato, ed era ora di punta. Non avrebbe mai fatto del male a nessuno, specialmente a dei bambini ma in cuor suo non avrebbe mai deluso il proprio, di bambino. Aveva indossato un passamontagna, le labbra erano esangui, e teneva tra le mani tremolanti una Colt-pythom. Si diresse alla cassa tre con  velocità,  puntò la Colt in faccia al giovane cassiere, che, senza nessuna resistenza, gli consegnò i millenovecentosessanta euro. Era convinto, l'avrebbe sfangata! Sarebbero andati a Napoli e avrebbero mangiato la pizza a Mergellina.  
Sull’orbita dell’uscita trovò due agenti in borghese, gli urlarono di buttare giù la pistola. Non oppose resistenza, i poliziotti lo ammanettarono frattanto il piccolo, in macchina, giocava col cellulare e pensava alla Città della Scienza.



Aniceto Fiorillo
Nato a Cesa nel 1979, dopo la laurea in Lettere, viaggia per l’Italia e per l’Europa sia per piacere ma soprattutto alla ricerca di un qualsiasi lavoro che gli permetta di scrivere senza pensieri: a Brussel, incontra il Pilota e la sua comunità di brasiliani belgi, imparando l’inglese e il francese perché vuol sentirsi cittadino europeo ma il grigio del cielo belga lo rende triste e scappa verso il mare dell’isola di Malta. Qui si imbatte in una dozzina di russi che contrabbandano in diamanti e che decidono di scassarlo (picchiare una persona fino a ridurlo in fin di vita), e mentre tenta di sfuggire agli ex bolscevichi, incontra una bellissima sudtirolese che lo conduce a Bolzano dove si impegna nell’insegnamento e nel cercare di farsi una famiglia con relativa prole. Ma il Signore per lui ha in serbo altri piani! Ritorna a Napoli dove gestisce una libreria, naturalmente abusiva; finché, un giorno, di inverno, e di forte vento, non giunge la Finanza che gli intima di chiudere in blocco l’attività. Non si perde d’animo e con tanta voglia e molti denari sceglie la città di Roma come sua nuova sposa. Qui a Roma conosce la solitudine,il lavoro, l’amore, e poi, il vento lo riporta a Napoli centro. Ora è facile incontrarlo, di mattina, al Caffè del Duomo, prima che vada a scuola.
Autore di Kilometro zero
https://www.amazon.it/Kilometro-Zero-Aniceto-Fiorillo-ebook/dp/B01N8XRSM9

 e dei suddetti Racconti disaccordati.





- La signora Nunzia racconta il Signore Antimo -

  Era il 1990 e si svolgevano i mondiali di calcio in Italia, e io ero innamorato degli azzurri. In quel periodo dormivo a casa di mia nonna...

Italia vs Albania