domenica 11 novembre 2018

Il pilota e la comunità belga










Il pilota e la comunità belga


"I brasiliani belgi" erano circa diecimila, suddivisi tra Bruxelles, Namur ed Anversa; erano meno dei brasiliani d’Inghilterra ma sempre di più dei brasiliani d’Italia; anche loro avevano capito che in Italia tirava una brutta aria. Vi dirò di più, molti dei "brasiliani belgi" avevano avuto come prima esperienza europea proprio l’Italia ma subito avevano fatto le valigie per il più ospitale Belgio. In terra belga ebbi la fortuna di conoscere approfonditamente la comunità carioca. Analizzando la loro tipologia di emigrazione, capivi che come altri migravano per avere una vita migliore. La loro migrazione aveva caratteri temporanei, durava quattro, cinque anni e poi ritornavano in Sudamerica. I carioca avevano un amore smisurato per la propria terra e soffrivano di una forte saudade che li costringeva a tornare. Parlandoci, mi ero reso conto che ognuno aveva una piccola fattoria da gestire in Brasile, il sogno era comprare quante più vacche fosse possibile, di costruire una fazenda e di diventare fazenderi. L’idea non era malvagia, anzi aveva la sua logica: andare in Brasile a crescere vacche. Carlitos, che in Belgio lavorava come muratore a cottimo, ne possedeva circa trenta e alla cinquantesima vacca avrebbe fatto le valigie e sarebbe ritornato a casa con sua moglie e i suoi due figli; il mio parrucchiere gay, Sosinho, ne aveva soltanto diciotto, ed era geloso degli altri che ne avevano molte di più. Il migliore di tutti era il Pilota: il Pilota era al di sopra di tutti "i brasiliani belgi" che avessi conosciuto. Il Pilota rappresentava un sogno, anzi, per meglio dire, il Pilota era il sogno. Si chiamava Gomes do Santos, quarantasei anni, proprietario terriero in Brasile e titolare di un’impresa di pulizie in Belgio, denominato il Pilota per il suo sogno: diventare pilota d’aeroplani. Conobbi il Pilota a una tipica festa brasiliana a base di carne, fagioli, riso e jupiler (birra). Quando lo vidi, subito risi: il Pilota, alto circa un metro e sessanta con una leggera pancetta da imprenditore, era fidanzato con una ragazza che minimo in altezza gli dava quindici centimetri, aggiungendo i tacchi i centimetri arrivavano a venticinque. La sua donna si chiamava Maria, italiana, laureata in Economia, lavorava come manager alla Canon, bellissima ragazza e personalmente mi chiedevo che cazzo ci avesse trovato nel Pilota. Su Gomes do Santos tutto si poteva dire tranne che fosse bello, forse aveva il fascino del quarantenne. Il Pilota era un irregolare, sans papier. La sua azienda contava la bellezza di quindici dipendenti, molti dei quali erano brasiliani, altri portoghesi, alcuni cileni. Il suo business si rivolgeva a piccole, medie ditte, e a complessi abitativi; non so se fosse davvero laureato in legge come diceva fieramente, ma di una cosa era certo: oltre a essere un sognatore era anche una volpe. Soffriva di uno sdoppiamento di personalità, di giorno materialista, di notte sognatore. Si immaginava pilota di aerei, di un suo aereo privato, e di volare per il cielo del Brasile accompagnato dalla bandiera brasiliana e da Maria, che quando ascoltava il Pilota dimenarsi tra i suoi sogni quasi piangeva. Il modo per conoscere i carioca erano le feste che erano una delle cose migliori che il Belgio potesse offrirmi, in primis erano “free”, e in più era assicurato cibo e divertimento. Alle serate erano presenti tutti, e chi aveva i figli li portava con sé, e i bambini erano costretti a far notte e mattino. Ricordo che il primo party, a cui partecipai, si svolse presso la casa del Carlitos, ci andai in compagnia di Josè e di mio fratello. L’abitazione si trovava nei pressi dell’Arco del Cinquantenario, una villetta di due piani con giardino retrostante. Il Carlitos si trattava bene, del resto essere muratore in Belgio rendeva. A volte pensavo che, se avessi avuto il dono di rinascere, mi sarei scelto un lavoro pratico: l’ elettricista, l’ idraulico, quei lavori che gratificano, ma gli eventi ti portano a percorrere altre strade. Ritornando al muratore a cottimo, oltre ad avere una casa con due piani aveva anche una moglie e due figli: Gustavo e Antoninho. I suoi bambini, di cinque e sette anni, frequentavano regolarmente la scuola elementare, parlavano francese tres bien e il processo di integrazione filava liscio come l’olio anche se soffrivano come dei cani a stare in Belgio. I carioca potevano essere accomunati un po’ ai napoletani, pensavano solo al divertimento; il lavoro e le preoccupazioni abitavano lontano. Di politica, non sapevano nulla. Una volta si parlava dell’11 settembre quando d’un tratto arrivò il Carlitos che, sentendo 11 settembre, fece riferimento alla data di nascita di Ronaldo. Di Bin Laden e del terrorismo poco ne capivano, vivevano in una sorta di beata noncuranza di come il mondo stesse andando. Erano così. Quando mi parlavano delle loro famiglie non vi dico i disastri: in media, una ragazza brasiliana di ventitré anni alle spalle aveva già un matrimonio, un divorzio e un bambino da sfamare in Sudamerica. Se la mia povera nonna li avesse potuti ascoltare, di sicuro avrebbe esclamato:o signore mio, mai peggio! Di disastri ce n’erano svariati. Tanto per citarne uno, vi era il disastro del Belardo. Il Belardo, muratore, lavorava con Carlitos, aveva ventisei anni, e un fisico simile al portiere del Milan Nelson Dida, longilineo e magro; lo chiamavano Mister 48, perchè era il numero di vacche che possedeva. Era stato sposato e divorziato, aveva due figli in Brasile e una nuova fidanzata in Belgio, Lima.

Intanto la festa continuava e ben presto capii che quella sera sarebbe stata una sera di grande conquiste. Dopo una settimana di lavoro al call center dove ti contavano anche i secondi per urinare, volevo solo distrarmi con delle donne brasiliane. Riuscii ad avvinghiarmi a una ragazza bionda, mai vista prima. Mi ricordo che parlammo poco, anche perché masticavo modicamente il portoghese: incominciai a baciarle il collo e finii alle labbra, tra me pensavo anche questa sera mi sono guadagnato il pane. Intanto mi accorgevo che il tasso etilico delle persone non accennava a diminuire e pure le grida e la musica aumentavano in maniera esponenziale. Preso dalla bionda, ero nel mio paradiso artificiale e nel momento in cui la confusione era al massimo si sentì il suono del campanello e di punto in bianco il silenzio si impadronì della casa. Carlitos si avvicinò a mio fratello e lo pregò di andare ad aprire. Io, mio fratello, Josè e Maria eravamo gli unici regolari della festa, gli altri, i brasiliani, tutti irregolari. Andammo, aprimmo e ci trovammo di fronte due agenti in divisa, di età compresa tra i venti e i ventiquattro anni. Ci presentammo. Gli agenti ci invitarono a favorire i documenti, "Italiani" disse uno dei due. Quando una persona ti dice "italiano" non sai mai se lo dice in modo ammirato o in modo schifato, nel nostro caso era in modo ammirato. Il più piccolo dei due si chiamava Michele, era figlio di emigrati italiani in Belgio. Ci disse che era calabrese, discutemmo dell’Italia e del Napoli di Maradona. Entrammo subito in sintonia. Era fatta, avevamo evitato il peggio che significava perquisizione dell’appartamento con relativa espulsione del proprietario, ossia del muratore a cottimo che avrebbe finito di collezionare vacche.
Dopo aver salutato gli agenti, tornammo dentro. Trovammo solo desolazione. Dei brasiliani nemmeno l’ombra. All’improvviso, mio fratello udì la voce di Carlitos: "
Ancimo, Ancimo, Ancimo". Stava per "Antimo", il nome del mio brother, i brasiliani avevano un problema con la t. Il muratore aveva scavalcato il muro di cinta della sua abitazione per paura di essere rispedito in Brasile e gli altri avevano seguito l’esempio. Invece, il Belardo si era nascosto al piano superiore, la ragazza bionda, dileguata, non la vidi più. La moglie del Carlitos aveva trovato rifugio su un albero di limone mentre Maria era andata alla ricerca del Pilota. Si trovarono e si abbracciarono.



Maria e il pilota.

La storia del Pilota e di Maria era degna di una soap opera sudamericana, non mancava niente: l’ amore, la separazione, i litigi e le riappacificazioni. Ciò andava avanti da due anni, più o meno. E poi c’era la madre di Maria. La prima volta che la mamma di Maria vide il Pilota, mise sottosopra l' intera regione di Bruxelles. "Hai perso la testa - ripeteva alla figlia - non sai cosa fai, un brasiliano! Quelli sono dei mascalzoni, e poi cosa ti ritrovi? E se fai un bambino? E se quello decide di andarsene in Brasile, tu cosa fai?"
Maria accusava il colpo
e con la testa china diceva: "Hai ragione, è una ragazzo che non fa per me, domani lo lascio".
Lei lo lasciava ma il giorno seguente erano di nuovo insieme.
Il Pilota era un bravissimo ragazzo, ma con enormi difetti. Un po’ duro di comprendonio, un tipico brasiliano con tutti i
pros and cons della situazione: vita sregolata, orari che non esistevano, voglia di divertirsi. Mentre la madre, ovviamente, per Maria voleva soltanto il meglio come qualsiasi madre. Immaginava la figlia sposata con un manager, uno di quelli che ha un reddito considerevole, una casa in montagna e all’occorrenza anche al mare. E invece, chi si ritrovava come genero? Gomes do Santos . Un brasiliano, un clandestino che, a parer suo, voleva sposare la figlia solo per sistemare i propri inghippi burocratici, ottenere la cittadinanza e i relativi benefici.
Arrivò il giorno in cui Maria ebbe la brillantissima idea di portare in Italia, a Natale, in un piccolo paese del Sud, il Pilota. Arrivarono il ventuno di dicembre, sarebbero dovuti ripartire il tre gennaio. Voli Virgin express, compagnia low cost. Il piano fu rispettato solo da Maria, il Pilota abbandonò l’Italia molto prima, a causa di una futile discussione con Maria. La discussione fu soltanto un pretesto. Gomes do Santos era ormai stufo di Maria, dei genitori di Maria, dei fratelli di Maria, e aggiungerei anche del paese di Maria. Respirava una brutta aria, l’aria di chi sa di non essere ben accetto. Così, dopo soli tre giorni di permanenza aveva fatto le valigie ed era tornato a Bruxelles. Dopo la parentesi italiana, Gomes do Santos e Maria avevano deciso che per un periodo di tempo sarebbe stato meglio non vedersi, ognuno per la sua strada. Maria con il suo lavoro da manager, il Pilota con il suo lavoro da imprenditore. Nelle mattine invernali, vedevi arrivare il Pilota al Caffè Belga dall’alto del suo metro e sessanta, con sé aveva sempre una penna e una piccola valigetta. Era un tipo schietto, uno che dava del tu a chiunque, ordinava il suo caffè e ripartiva. Gli affari del Pilota, a sentire gli altri, andavano a gonfie vele. Addirittura in giro si diceva che con la sua impresa di pulizie oltre ad aver conquistato Bruxelles, si accingeva a invadere la città di Namur. Il business si era allargato e con esso, sia il numero degli introiti che quello dei dipendenti. Ora l’azienda ne contava ventisette. Come altre mattine, anche quella mattina il Pilota si recava a lavoro. Prese il solito caffè, salutò gli amici, comprò il giornale, il Globo, all’edicola più vicina e incominciò a sfogliarlo.
Arrivò nei pressi del pulmino Fiat, accese il motore, e ripartì per il suo consueto giro. Doveva prelevare otto operai e portarli allo stabile di Namur. Il punto di incontro per i primi quattro operai era fissato a Gare du Midi, il Pilota arrivò con dieci minuti d’anticipo, così, per uccidere il tempo, riprese la lettura del Globo.
Dopo dodici minuti arrivarono le prime operaie e il Pilota fece cenno alle donne di muoversi perché erano in ritardo. Gomes do Santos ripose via il Globo e riaccese il motore per prendere gli altri lavoratori. Il secondo punto di incontro, quello, per gli operai portoghesi, era alla stazione centrale. Aprì la porta scorrevole del furgoncino e li fece entrare. Quella mattina nel furgoncino bianco Fiat erano in otto. Lui, più sei donne, irregolari, e un ragazzo, anche lui clandestino. Namur-Bruxelles erano circa trenta chilometri che il pilota percorreva in cinquanta minuti parlando con i suoi operai. Arrivarono alle 8.45, scesero dal bus e i salariati iniziarono a sgobbare. Gomes do Santos si fermò a parlottare con l’amministratore che gli propose altri stabili da pulire. I prezzi del Pilota erano più che concorrenziali tanto il Pilota mica doveva pagare le tasse! La conversazione si concluse con una stretta di mano e due sorrisi smaglianti. Pensavano ai numerosi affari che avrebbero potuto realizzare. L’amministratore si mise alla guida della sua autovettura e ripartì per nuovi lidi, Gomes do Santos salì sul furgone, accese lo stereo e prese da un cassetto la merenda preparata il giorno prima. Si sistemò in posizione comoda. Alle 10.45 arrivarono i poliziotti belgi che misero in pausa forzata ogni lavoratore. Sequestrarono tutto, partirono dalle cose materiali e finirono con le emozioni. Quella mattina, la polizia distrusse il sogno del Pilota. Gli otto salariati e Gomes do Santos furono condotti in caserma. E così finì la permanenza del Pilota in Belgio.


Aniceto Fiorillo



Nato a Cesa nel 1979, dopo la laurea in Lettere, viaggia per l’Italia e per l’Europa sia per piacere ma soprattutto alla ricerca di un qualsiasi lavoro che gli permetta di scrivere senza pensieri: a Brussel, incontra il Pilota e la sua comunità di brasiliani belgi, imparando l’inglese e il francese perché vuol sentirsi cittadino europeo ma il grigio del cielo belga lo rende triste e scappa verso il mare dell’isola di Malta. Qui si imbatte in una dozzina di russi che contrabbandano in diamanti e che decidono di scassarlo (picchiare una persona fino a ridurlo in fin di vita), e mentre tenta di sfuggire agli ex bolscevichi, incontra una bellissima sudtirolese che lo conduce a Bolzano dove si impegna nell’insegnamento e nel cercare di farsi una famiglia con relativa prole. Ma il Signore per lui ha in serbo altri piani! Ritorna a Napoli dove gestisce una libreria, naturalmente abusiva; finché, un giorno, di inverno, e di forte vento, non giunge la Finanza che gli intima di chiudere in blocco l’attività. Non si perde d’animo e con tanta voglia e molti denari sceglie la città di Roma come sua nuova sposa. Qui a Roma conosce la solitudine,il lavoro, l’amore, e poi, il vento lo riporta a Napoli centro. Ora è facile incontrarlo, di mattina, al Caffè del Duomo, prima che vada a scuola.



Autore di Kilometro zero 
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e dei suddetti Racconti disaccordati.

- La signora Nunzia racconta il Signore Antimo -

  Era il 1990 e si svolgevano i mondiali di calcio in Italia, e io ero innamorato degli azzurri. In quel periodo dormivo a casa di mia nonna...

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