mercoledì 28 febbraio 2018

Roma-Fiumicino, servizio extraurbano.











Allora, ti devo parlare in italiano? Visto che non mi capisci! Devi andare a scuola e farti interrogare in Scienze! Altrimenti, io ritorno a casa, perdo la giornata di lavoro e ti gonfio! È chiaro?” disse la signora Teresa.
Teresa, bassa e tozza, lavorava come donna delle pulizie allo “Sleep and Fly” un albergo di Fiumicino e spesso era nervosa o perché i datori di lavoro erano in ritardo con i pagamenti o perché i figli le creavano un sacco di problemi. Quella giornata era nervosa per i figli. Era un lunedì di febbraio, alquanto gelido, e quando ti alzavi dal letto portavi con te le coperte nel bagno. L’orologio faceva le 7,10 sul piazzale Eur Magliana, antistante il metrò, e i pendolari Roma-Fiumicino, infreddoliti, aspettavano il conducente per partire.
Gli ospiti consuetudinari erano Mislovacic Rado, serbo, la Signora Teresa e Gianni, Guardia Costiera, gli altri erano di giornata e spesso scendevano all’aeroporto. All’improvviso sull’autobus scese un gran silenzio, alla guida dell’autobus si ritrovava dopo mesi di assenze, Er moviola, con la sua barba da hipster e la pelata dorata, auricolare fisso e sguardo torvo. I tre, oltre a prendere ogni lunedì lo stesso autobus, avevano in comune un’altra cosa: avevano firmato e spedito una lettera di protesta nei confronti del Er moviola per i suoi numerosi ritardi accumulati nei numerosi viaggi su tale linea. Pelata dorata non l’aveva presa bene anche perché la compagnia gli aveva affidato le corse notturne e a lui giravano tanto le boccettine.
L’altra passeggera era una matta, una signora con un grande borsone che parlava sempre anche se nessun riusciva a cogliere il senso delle sue parole. Aveva dei capelli rossi increspati, e il viso rugato come un marinaio fenicio del VI secolo a.c. . Partirono alle 7,17, due minuti di ritardo, con Barba da hipster era ottimo, sarebbe potuto andare molto peggio.
L’autobus prese l’Aurelia ma da lontano si incominciò a intravedere una colonnina, che lentamente si trasformò in una grande colonna, inamovibile simile a un mulo di Pachino durante i ferragosti siciliani.
“Ahó, pregare il signore di arrivare alle 9,30 perché con Er moviola non c’è mai limite al peggio” disse il serbo.
Mislovacic portava con sé una tosse congenita dovuta al fumo e chissà a che altre cose, dei tre era l’unico tranquillo. Infatti lui era smontante, aveva lavorato in fabbrica di notte. Il serbo aveva firmato la lettera di protesta, solo perché voleva arrivare prima possibile a Ponte Galera. Niente, lo svincolo era bloccato. Un incidente tra una macchina e un camion con nessun ferito ostruiva il passaggio. Er moviola prese colore e alzò lo sguardo verso lo specchietto retrovisore per vedere le facce adirate dei suoi due amici: erano con i cellulari, chiamavano i rispettivi capi per comunicare i propri ritardi e questa volta non era colpa del Pelata, per niente.
Er moviola: “Continuiamo per l’Aurelia e al primo svincolo
usciamo e poi rientriamo a Ponte Galera.”
Alcuni turisti stranieri si alzarono per capire cosa fosse successo. Dovevano essere dei francesi o belgi, perché dal loro inglese si sentiva una leggera flessione transalpina. Ebbero l’ardire di avvicinarsi al Er moviola, e gli chiesero in inglese che cosa fosse successo.
Barba da hipster li guardò almeno per un minuto, e poi gli disse:
“I don’ t speak english, I don’t understand.”
E i tre lo maledirono in francese.
Poi furono fortunati, e un passeggero non abitudinario gli spiegò l’accaduto e loro continuarono a bestemmiare in francese. Avrebbero perso l’aereo. E il ghigno malefico di pelata dorata diventava sempre più prepotente. Rientrarono a Ponte Galera con trenta minuti di ritardo. 
Ci fu il primo stop, entrarono due signore mentre Rado scese. 
“Ce vediamo domani, se arrivate!” disse il serbo.
Teresa per un attimo distolse lo sguardo dal cellulare e gli disse: “Fanculo tu e la Serbia!”
Incollata al telefono Teresa, aspettava il messaggio di Maria, una ragazzina, che frequentava la scuola superiore a Fiumicino e prendeva l’autobus a Parco Leonardo. Quella mattina ogni comunicazione era interrotta. Le avrebbe dovuto dire se fossero presenti i controllori. Alla fine, pensò che non ci fossero e non obliterò il biglietto.
La guardia Costiera leggeva il suo giornale e scambiava qualche parola con la signora Teresa. Era pugliese, e aspettava il trasferimento per Torre dell’Orso, trasferimento che ogni anno gli veniva negato; anche lui malediva tutti e in particolar modo un politico suo conterraneo, un certo Marsini e diceva che era colpa sua, se si trovava a Roma ed era pendolare per Fiumicino. Quella mattina, la matta si avvicinò e gli disse: “Aoh ti lamenti sempre!” fu la prima e ultima volta che la matta disse qualcosa di sensato. 
Arrivati a Parco Leonardo, i passeggeri trovarono i controllori. Multa da cinquanta euro per Teresa. Perfino la matta aveva il biglietto. 
I turisti francesi colsero l’occasione per protestare contro i controllori. 
“We have paid the ticket, but we have lost our plane for Paris” in gruppo gridavano mentre la matta li guardava con interesse. 
Il controllore, accerchiato, cercava di giustificarsi mentre gli altri passeggeri si lamentavano del fatto che l’autobus fosse fermo e avrebbe accumulato altro ritardo. Quella giornata non fu certo gioiosa per i passeggeri Roma-Fiumicino, servizio extraurbano ma per Er moviola sicuramente sì. E per la prima volta sulla fine della Portuense, quasi all’entrata di Fiumicino, sfiorò i cento.

Aniceto Fiorillo


Nato a Cesa nel 1979, dopo la laurea in Lettere, viaggia per l’Italia e per l’Europa sia per piacere ma soprattutto alla ricerca di un qualsiasi lavoro che gli permetta di scrivere senza pensieri: a Brussel, incontra il Pilota e la sua comunità di brasiliani belgi, imparando l’inglese e il francese perché vuol sentirsi cittadino europeo ma il grigio del cielo belga lo rende triste e scappa verso il mare dell’isola di Malta. Qui si imbatte in una dozzina di russi che contrabbandano in diamanti e che decidono di scassarlo (picchiare una persona fino a ridurlo in fin di vita), e mentre tenta di sfuggire agli ex bolscevichi, incontra una bellissima sudtirolese che lo conduce a Bolzano dove si impegna nell’insegnamento e nel cercare di farsi una famiglia con relativa prole. Ma il Signore per lui ha in serbo altri piani! Ritorna a Napoli dove gestisce una libreria, naturalmente abusiva; finché, un giorno, di inverno, e di forte vento, non giunge la Finanza che gli intima di chiudere in blocco l’attività. Non si perde d’animo e con tanta voglia e molti denari sceglie la città di Roma come sua nuova sposa. Qui a Roma conosce la solitudine,il lavoro, l’amore, e poi, il vento lo riporta a Napoli centro. Ora è facile incontrarlo, di mattina, al Caffè del Duomo, prima che vada a scuola.


Autore di Kilometro zero 
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e dei suddetti Racconti disaccordati.


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