giovedì 3 agosto 2017

Amore reciproco.






Vivevano in un piccolo appartamento in periferia; vivevano da soli, lui e la madre, gli altri fratelli si erano sposati e soltanto di rado venivano a trovarli, con il tempo il di rado si trasformò in mai. La mamma aveva sessantotto anni, da poco aveva subito un trapianto e portava sulle spalle anche altri fardelli dovuti al percorso della vita. Gianluca e io eravamo amici di infanzia, uniti da eventi e da ricordi; anche se, poi, le strade si allontanano, vi saranno sempre dei momenti duranti i quali penserai che Gianluca è il tuo migliore amico, perché è così. Quando tornavo giù al paese e lo rivedevo, mi veniva da piangere, con il tempo andava peggiorando e quasi non ti riconosceva. Quando gli allungavi la mano per stringere la sua, di mano, indietreggiava per paura che gli potessi fare qualcosa. Aveva un gran pancione, accenni di capelli bianchi ai lati, uno sguardo che cadeva nel vuoto e accendeva sigarette in continuazione. Era andato sotto e non si era ripreso più, aveva incominciato con le canne e poi era passato all’eroina, la fumava e in seguito i psicofarmaci lo avrebbero condotto allo stato attuale. A volte mi soffermavo a guardalo da lontano quando usciva con la madre e ritornavano a casa con le buste della spesa, le portava sempre lui non voleva che la mamma si affaticasse e in quei momenti in cui passeggiava si riaccendeva quella luce negli occhi che mi diceva:  il mio  amico ancora non era morto. 
Era gelosissimo della mamma, talvolta, si frapponeva tra le persone e la madre come se fosse il suo scudo; era l’unica persona che gli era rimasta, era da capirlo. La aiutava nelle commissioni, nei servizi a casa: il ragazzo rassettava, puliva, mentre la madre riposava per la stanchezza e poi, quando la mamma cucinava, lui si lamentava perché il sale non era giusto e la madre gli diceva che il sale faceva male. Vivevano in perfetta simbiosi, in un bisogno continuo l’uno dell’altro. Andavano spesso in ospedale, non avendo la macchina, utilizzavano i mezzi pubblici; quaranta minuti all' andata e altri quaranta al ritorno, e poi le file interminabili per entrare, e il nervosismo crescente di Gianluca, incominciava a capire che, forse, per la madre non vi erano più speranze. E una mattina la mamma non aprì più gli occhi, li chiuse per sempre e lui si trovò solo con la sua pazzia. Abbracciò la madre e la strinse come non aveva mai fatto con nessuno. Li trovarono dopo una settimana, entrambi morti, abbracciati come solo madre e figlio possono essere abbracciati.



Aniceto Fiorillo

Nato a Cesa nel 1979, dopo la laurea in Lettere, viaggia per l’Italia e per l’Europa sia per piacere ma soprattutto alla ricerca di un qualsiasi lavoro che gli permetta di scrivere senza pensieri: a Brussel, incontra il Pilota e la sua comunità di brasiliani belgi, imparando l’inglese e il francese perché vuol sentirsi cittadino europeo ma il grigio del cielo belga lo rende triste e scappa verso il mare dell’isola di Malta. Qui si imbatte in una dozzina di russi che contrabbandano in diamanti e che decidono di scassarlo (picchiare una persona fino a ridurlo in fin di vita), e mentre tenta di sfuggire agli ex bolscevichi, incontra una bellissima sudtirolese che lo conduce a Bolzano dove si impegna nell’insegnamento e nel cercare di farsi una famiglia con relativa prole. Ma il Signore per lui ha in serbo altri piani! Ritorna a Napoli dove gestisce una libreria, naturalmente abusiva; finché, un giorno, di inverno, e di forte vento, non giunge la Finanza che gli intima di chiudere in blocco l’attività. Non si perde d’animo e con tanta voglia e molti denari sceglie la città di Roma come sua nuova sposa. Qui a Roma conosce la solitudine,il lavoro, l’amore, e poi, il vento lo riporta a Napoli centro. Ora è facile incontrarlo, di mattina, al Caffè del Duomo, prima che vada a scuola.


Autore di Kilometro zero 

https://www.amazon.it/Kilometro-Zero-Aniceto-Fiorillo-ebook/dp/B01N8XRSM9

e dei suddetti Racconti disaccordati.



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