Era il 1990 e si svolgevano i mondiali di calcio in Italia, e io ero innamorato degli azzurri. In quel periodo dormivo a casa di mia nonna paterna a Sant' Antimo, comune dell' hinterland partenopeo.
Non conoscevo bene mia nonna paterna, essendo cresciuto in un altro centro. I miei genitori decisero che avrei dovuto approfondire la conoscenza, anche se io, allora, non ero proprio convinto!
Mia nonna era una commerciante in materassi, alimentari, e non si faceva mancare nemmeno un po' di contrabbando. I suoi affari erano concentrati a Napoli città, sul Monte di Dio dove possedeva un mini market, locali commerciali e appartamenti. A casa durante la mia infanzia avevo spesso sentito riecheggiare il nome di mio nonno paterno. Si chiamava Antimo. Si diceva che fosse un gran uomo, e che in poco tempo avesse costruito una bella fortuna, prima che una cirrosi epatica lo avesse portato a miglior vita. Aveva 49 anni quando trapassò; ma erano solo voci che balzavano tra le quattro mura di casa, anche perchè mio padre era sempre restio nel raccontare di suo padre. La nonna, Nunzia, fu la prima persona che mi parlò di lui .
Quella giornata, il 3 Giugno del 1990, prendemmo il tram in piazza: ci sedemmo, e attraversammo Napoli nord; faceva caldo, e le persone boccheggiavano dal mattino. La sera si sarebbe giocata la semifinale del mondiale, Italia Vs Argentina, e il tifo era diviso: chi teneva per Maradona, e chi per l'Italia. Le strade, per metà, erano ricoperte da immagini che inneggiavano a Diego e l' altra era per gli azzurri. C'era un gran caos, e si sentiva la tensione di una partita fondamentale. L'aria oltre che calda, era gravida di emozioni per coloro che, nel calcio, riponevano speranze.
Giunti nella zona mercato incrociammo un magma umano, pronto a esplodere: contrabbandieri, venditori ambulanti e pescivendoli che, con i loro volti scavati da storie, si muovevano con disinvoltura in quei anfratti urbani. E io li osservavo mentre nonna comprava mercanzie che avrebbe venduto nella banlieue napoletana. A piazza mercato ci imbattemmo in Donna Concetta, era la proprietaria di una pizzeria. Aveva dei tavoli sempre affollati da personaggi pittoreschi, io addentavo una pizza a portafoglio mentre la nonna confabulava con lei. Con le chiacchiere loro ritornavano ai tempi in cui era tutto diverso! Le avrei volute vedere, adesso, sbirciare tra il Mercato e la Duchesca, e comprendere il fatto che fossero completamente nelle mani dei cinesi. Sarebbe stato uno sballo osservare i loro visi sbalorditi da tali cambiamenti!
Arrivati sul Monte di Dio, nonna mi raccontava di come il nonno, in poco tempo, aveva realizzato una bella fortuna e mi accompagnava con la mano, orgogliosa, a conoscere i luoghi dove erano ubicati gli appartamenti e i locali commerciali comprati dal nonno. Alla nonna brillavano gli occhi mentre raccontava del suo uomo. Mi diceva che Antimo, così a volte lo chiamava, era una persona elegante, amava gli abiti sartoriali, li comprava a Riviera di Chiaia e che, se non fosse morto così giovane, noi avremmo accumulato miliardi di lire.
E poi si dispiaceva e le languivano gli occhi mentre attraversavamo via Gennaro Serra, e continuava:
“Io, da sola ho fatto quello che ho potuto, con nove figli!
Ma cu' nonno sarebbe stata n'ata storia”.
Povera Nonna, avrebbe voluto realizzare più di quanto avesse fatto.
Che era già tanto.
E poi ci incuneavamo trai vicoli del Pallonetto dove raramente batteva il sole fino al basso dove abitava Massimo Ranieri che, da bambino, lavorava come garzone al negozio del nonno, consegnando con altri piccoli scugnizzi le spese ai nobili della zona.
Il pomeriggio, fuori dall'alimentare, seduto su una cassa di gassosa, piluccavo 'a marenna con prosciutto crudo e mozzarella di Aversa, e la nonna borbottava con i miei due zii, Carmine e Raffaele, di qualche possibile affaruccio. Li ascoltavo intanto che mi rifocillavo. Frattanto, a velocità sostenuta, sfrecciavano motorini e vespe, di diverse cilindrate, con delle bandiere dell'Argentina, inneggiando all'unico grande re, Diego Armando Maradona. Diciamolo tutta, in provincia, la partita era combattuta ma a Napoli centro il tifo era tutto per sua Maestà, Diego. E poi prese la parola zio Carmine raccontando attimi della sua infanzia con mio padre, i due erano coetanei, appena un anno di differenza e di come il nonno fosse un uomo molto severo e che loro si comportassero da soldati al suo cospetto; intanto zio Raffaele era intento a far di conto dietro la cassa del minimarket.
La nonna si era accomodata su una sedia fuori dal negozio e, all'improvviso, disse:
Era 'o '43, era aumentat tutt'cos
'o pane , ' a pasta. C'era 'o contrabbando!
A Napule si moriva di fame!
Quanta gent' aggi' vist 'i muri',
'o p' fame, o pi' bombe. Assai!
Aveva preso dalla sua borsa un ventaglio, con il quale nonna abbatteva la calura della giornata. Lo zio Carmine si era acceso una sigaretta, e a passo lento, passeggiava, chissà quante volte aveva già ascoltato quella storia. Lo zio Raffaele continuava a far di conto nella bottega.
'O nonno teneva 20 anni, e io 18, si era comprato nu' pulmin picciril, e jevem e venevem da nu' paese vicin' Benevento. Là accatavam tutt'cose, 'o furmaggio, 'i pomodori, uova, ' a carne, che allora sul' 'i signuri se la potevano permettere.
'O nonno tenev nu' buon cumpagn, nu'nobile, abitava n' cop Monte di Dio, e c'accurdamm, noi gli portavamo 'ste cose, e lui c'pavava con oro e collane perchè allora, p'mezz la guerra, 'a lira nu' valeva niente.
Chella sera ru' scambio, m'a ricord buon, caur assai, e luci miezz' a vi' nu' funzionavan, nott' assai era. ' Ra luntan' virimm ' na sagoma, era un nobile, e poi due suoi guaglioni.
Eravamo messi 'a rent ' o vic Solitario, ca' vicin, e avevamo 'o pulmin chien. Eravam cuntent assai, eravamo guaglioni.
Bell'e'buon, 'a rint nu' purton uscirono due carabinieri, e ci portarono int' a caserma. C'arrstaran' a tutt'quant'e rummettem 'ngaler a Pizzo Falcone. Poi 'a matin' ci fecero asci', grazie 'o nobile.
La nonna riprese a soffiarsi con il ventaglio, si alzò, mi toccò la testa e mi disse:
Anicè, int' 'a vita, tutt' esperienza.
Rimasi di stucco, ipnotizzato, nel sentire quella storia tanto che zio Carmine, una volta tornato dalla passeggiata, mi disse : stat'accort che fai carè 'a muzzarella!
E per poco non cadde.
Verso le 19:00 quando l'aria aveva appeno iniziato a rinfrescare, agguantammo, a Municipio, l'autobus per Sant' Antimo. A metà del corso di Secondigliano l'autobus si piantò di colpo. A detta dell'autista si fuse il motore. Eravamo nervosi. Mancavano venti minuti all'inizio del match. L'autobus non riparti più. Fummo fortunati: all'angolo era allocata una tavola calda con un discreto televisore. Con la nonna ordinammo delle pizze e delle gassose.
Schillaci ci portò in vantaggio al 17’, poi Caniggia pareggiò al 50’. La partita finì ai rigori. Fu una serata di gloria per Goycoechea, il portiere che ci eliminò; per me, invece, la mia prima delusione sportiva. Piansi tutta la notte.